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lunedì 23 giugno 2008

Ricordando il papà di Cocco Bill

Tre tavole del grande Jacovitti (al secolo Benito Franco Jacovitti, 1923-1997), tratte dalla “Domenica del Corriere” della fine degli anni ’60. Quale maniera migliore per ricordare questo indimenticabile artista italiano, se non il piacere di rileggere e, soprattutto, rivedere le sue simpatiche e taglienti tavole? Invito tutti a visitare anche il sito ufficiale di Jacovitti: "... Jacovitti e' stato paragonato a Esher e a Bosch. In Francia lo chiamano il Disney europeo. Un maestro dell'assurdo, un 'estremista di centro', che ha sempre dimostrato grande liberta' e indipendenza dal potere, principale oggetto dei suoi sberleffi. Un aggressivo burlone capace di scherzare su tutto e su tutti. Un disegnatore e sceneggiatore che ha giocato con il linguaggio come un bambino che prende a martellate il trenino nuovo che gli ha regalato papa'. Un funambolo in equilibrio sulla matita. Maestro di grafica, di follia universale, di nonsenso, di liberta', di sommessa anarchia. Creatore di un universo originale e irripetibile dove tutto e' possibile. Un uomo dal cuore grande, che si definiva un clown, e che riusciva a far ridere anche quando era triste. Un maestro. E a noi piace pensare che il 3 dicembre 1997, lui, insieme alla sua amatissima moglie Lilli, si sia nascosto in mezzo ai suoi mille personaggi, e che da li' ci guardi divertito, quando ci perdiamo nella lettura delle sue affollatissime tavole."

mercoledì 18 giugno 2008

Là dove c'era l'erba ora c'è una città...

Chi è stato bambino negli anni ’70 non può non ricordare questa fotografia, gli scenari che essa evoca. Pubblicata nell’articolo “Il bambino programmato” (“Domenica del Corriere”, n.14 del 07/04/70) è una foto che proietta indietro gli ex bambini oggi quarantenni. Ricordo perfettamente questi giardini senza erba, ricordo le urla di noi bambini, i giochi, l’altalena, la settimana, le liti tra i maschi e le femmine, le ginocchia sbucciate e la tintura di iodio per rimetterci in pista e così ripartire per nuove avventure. Ricordo i cortili dei palazzi, dove vivevano centinaia di famiglie, piemontesi, venete e meridionali. Ricordo le differenti merende: io, piemontese, pane e marmellata; il mio compagno di giochi, di origine siciliana, pugliese o calabrese, una pagnotta per me chilometrica, imbottita di mortadella o di olio & pomodoro. Era una Torino che imparava a crescere insieme. Non più meridionali costretti a vivere in stanze fatiscenti, appena arrivati dal Sud. Era una Torino con i palazzi costruiti pochi anni prima, condomini con alloggi vivibili, il bagno interno, fino a pochi anni prima un sogno. Era una Torino, dicevo, che imparava a crescere insieme e talvolta non era facile, talvolta si ingenerava persino un razzismo al contrario, e faceva male, come tutti i razzismi. Ricordo le pallonate contro i muri, le corse, i vari nascondino, la settimana, il gioco del fazzoletto oppure “l’orologio di Milano fa tic tac”… tutti all’insegna del cemento, del micromondo costituito da un grigio cortile (grigio l’ho aggiunto soltanto in seguito, allora era il mio mondo di bambino tutto sommato felice) e dal ricordo di un mondo complesso, arrabbiato, al tempo incomprensibile ma percepito, sicuramente, con un ché di disagio. Era un’Italia che ricordo con piacere (perché ero bambino in una famiglia a cui devo molto), con disagio (certe immagini di tensione e violenza le ricordo ancora adesso), con curiosità (la “tivì” mi affascinava, ricordo le “prove tecniche di trasmissione”; i fascicoli “Le mie ricerche”; il cartoccio del latte a piramide; l’acqua che faceva le bollicine con la mitica polverina…), ma mai con nostalgia. E’ un modo per ricordarla meglio, per quanto possibile.

Il bambino che sono (siamo) stato... (2/2)


Conclusione dell'articolo "Il bambino programmato" (ved. post precedente), "Domenica del Corriere", 7 aprile 1970.

Il bambino che sono (siamo) stato... (1/2)



Il bambino programmato” è un articolo pubblicato il 7 aprile 1970 sulla “Domenica del Corriere”. Essendo nato nel 1967 ho letto questo pezzo con un interesse particolare, cercando di trovare in ogni rigo un accenno, seppur indiretto, ai miei genitori, al mio passato, all’educazione che ho ricevuto. Il risultato è stato, lo dico senza alcuna enfasi, sconvolgente per quanto mi sono ritrovato e per quanto certe tappe della biologia, a sentire i “futurologi”, porteranno (siamo nel 1970) a “programmare le doti delle generazioni future”… discorsi farneticanti che a volte ritornano. Assurdità a parte, ciò che colpisce in questo articolo (pubblicato in 2 post) è la sintetica, ma decisamente efficace capacità d’analisi di un modo di concepire e vivere la famiglia, “reazionaria” prima, “democratica” poi. Definizioni a parte, che risentono del clima post ’68, l’autore dello scritto propone delle spiegazioni alla solitudine e alla insicurezza che già allora si stava insinuando nelle nuove generazioni, nate nella cosiddetta società dei consumi. Come già scritto in altri post, la lettura del nostro passato è fondamentale per comprendere il nostro presente e sentire, quasi toccare con mano, quel ponte che unisce (o, paradossalmente, divide) epoche e generazioni.

Lo sfogo della senatrice Merlin

Tratto sempre da “L’Europeo” n.4, ottobre 2002, “Cinquant’anni di eros e tabù”, che riporta un pezzo pubblicato su “L’Europeo”, n.30 del 1963. E’ la replica della senatrice socialista alle accuse rivolte alla sua legge. Ciclicamente si parla di riapertura delle “case chiuse”. E’ un tema così complesso (implicazioni morali, logistiche, ecc.) che pensare di togliere le prostitute dalle strade per trasferirle in case più o meno aperte deve essere attentamente soppesato in ogni suo aspetto (etico e pratico), confrontandosi con la legge Merlin e la situazione precedente alla stessa, così da evitare leggi frettolose o talmente imperfette da risultare infruttuose, se non inattuabili.

Chiusura delle "case chiuse": la legge e le sue conseguenze

Mi sono già occupato, seppur brevemente, di questo spinoso e sempre attuale problema: nei post del 25 e del 26 aprile 2008. Ora propongo questo articolo tratto da "L'Europeo", n.38 del 1958 (pubblicato su “L’Europeo" n.4, ottobre 2002, “Cinquant’anni di eros e tabù”), anno di chiusura delle cosiddette “case chiuse”. Gettare fango, a priori, sulla legge Merlin e sulla stessa senatrice Merlin è sinonimo di superficialità, e in questo senso il pezzo è di indubbio interesse. Merita davvero di essere letto con attenzione, tenendo sempre un occhio al passato e uno al presente che, in tema di prostituzione, è davvero un presente triste e squallido. “Fino a che punto siamo preparati per fronteggiarne le conseguenze?” (della chiusura) si chiedeva, giustamente, il giornalista. Oggi invece dovremmo chiederci: fino a che punto siamo preparati per fronteggiare il caos esistente? E in quale modo contenerlo? Sì, contenerlo, perché un simile problema è cronico nella storia dell’umanità e quindi pensare di risolverlo è pura demagogia.

martedì 10 giugno 2008

Vittime, questi sconosciuti...

Salvatore accenna, commentando il mio post 3/3 sull'ex BR Raffaele Fiore (post del 29/05/08), alla scarsa memorialistica sulle vittime del terrorismo rosso e nero. Mi sembra doveroso elencare quattro recenti lavori sull'argomento:
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I silenzi degli innocenti di Giovanni Fasanella, Antonella Grippo, Milano, BUR, 2006;
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Spingendo la notte piu in la: storia della mia famiglia e di altre vittime del terrorismo di Mario Calabresi, Milano, A. Mondadori, 2007;
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L'attentato di Andrea Casalegno, Milano, Chiarelettere, 2008;
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Il piombo e il silenzio: le vittime del terrorismo in Italia (1967-2003) di Renzo Agasso, Domenico Agasso Jr., Cinisello Balsamo, San Paolo, 2008
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“Uccisi due volte. Dal piombo, prima. Dal silenzio, poi. Sono le vittime del terrorismo rosso e nero. 170 morti. Caduti di una guerra dichiarata da una sola parte. Rischiano di venir ammazzati una terza volta. Dall’arroganza degli assassini e dall’oblio dei giusti.” Così inizia il libro di Agasso e Agasso jr. , con una potente e durissima requisitoria che precede la presentazione, in ordine cronologico, di tutte le vittime delle stragi e degli attentati per terrorismo in Italia dal 1967 al 2003, anno in cui viene registrata l’ultima uccisione. Anno per anno, le brevi storie dei caduti, scorrono formando un elenco impressionante, fedelmente ricomposto per non dimenticare, nell’anno del 30° anniversario dell’omicidio di Aldo Moro, quando tutti faranno finta di ricordare e celebrare, per poi lasciare i familiari di nuovo da soli." (recensione dell'opera di Agasso, tratta dal sito delle Edizioni San Paolo)

lunedì 9 giugno 2008

Il poliziottesco - filone riscoperto

Il ricordo personale degli anni '70, via via che il tempo passa, è sempre più nitido, malgrado le naturali deformazioni che produce il ricordo stesso e, soprattutto, malgrado i limiti anagrafici della mia persona, essendo nato nel 1967. Ricordi che affiorano, come i controlli della polizia, specialmente nei confronti dei giovani (ricordo perfettamente una camionetta della Celere fognare dei giovani, gambe larghe e mani al muro, in corso Francia, non lontano da Piazza Rivoli), come i colori (i vestiti, le tappezzerie, le pubblicità, i divani, i piatti, ecc.), le forme degli oggetti, la mania per la plastica, i tram (verdi, un verde orribile!) e le auto della polizia, magnifici modellini per un bambino di 5-10 anni. E, perchè no, le minigonne, così come i cartelloni pubblicitari (la Peroni...). Non voglio scadere nella stupidaggine dei "bei tempi!" semplicemente perchè essi rappresentano il mio/nostro passato che, nel caso sia stato lieto, genera quel sentimento chiamato nostalgia. Cerco soltanto di ricordare, nel modo più onesto possibile, intellettualmente parlando. I miei '70 sono stati anni felici, ma rileggendo i quaderni delle elementari e facendo un serio esercizio di memoria sento che la realtà di quegli anni mi ha comunque lasciato qualcosa dentro, qualcosa di indefinito, qualcosa che perdura, come l'amaro in bocca. Un senso di grigiore per certe immagini che ancor oggi vedo con gli occhi della mente: gli anni di piombo, il giovane o la giovane arrestati perchè appartenevano alle BR (potevano essere anche di Prima Linea, ma col termine BR si classificava il terrorismo rosso in genere) eppure quei giovani "sembravano così tanto per bene, mai si sarebbe detto..."; le facce dei nostri politici in bianco e nero, come il televisore ce le proiettava o, tutt'al più, colorate da quelle orribili lastre in plastica colorata (sfumata) che si piazzavano davanti allo schermo del televisore stesso per dare l'idea del colore... ma chi le ha inventate??? Il sequestro Moro, la strage di via Fani, che per me suonava come una parola solo per adulti... via Fani... terribile, malgrado non comprendessi la reale portata della tragedia collettiva. Ricordo i posti di blocco, i controlli dei documenti, ricordo la Renault rossa, che allora era bianca e nera, almeno a casa mia.... ancora oggi la Renault rossa mi trasmette un senso di morte e di cristiana pietà al contempo. I murales di protesta, giovani in protesta, lavoratori in protesta... graffiti industriali, archeologia metropolitana... dietro ad una selva di rampicanti, in via Caluso a Rivoli (pochi Km da Torino) forse oggi sono in pochi a ricordare che quel lungo muro della tangenziale custodisce quei graffiti e chissà che qualcuno, in futuro, li preservi come simboli, tracce di un'epoca della nostra storia ormai finita sui testi scolastici.
E in quest'ondata di ricordi si inseriscono anche i cosiddetti "poliziotteschi", quello che in Italia viene chiamato il "cinema di genere" assieme ai thriller all'italiana e all'horror nostrano. Mi correggo: i "poliziotteschi" non sono un ricordo vero e proprio, se non per il fatto che ricordo mio padre che li andava a vedere e mi colpivano le locandine davanti ai cinema. Tuttavia, grazie alla riscoperta (meglio dire scoperta) dei "poliziotteschi", la mia memoria viene stimolata in una maniera incredibile. Quelle immagini (gli interni, i vestiti, gli oggetti, le pubblicità, ecc.) hanno e stanno stimolando tutti quei ricordi che apparentemente avevo rimosso. Essi riemergono, vivi come non mai! Assieme alla soddisfazione personale, devo dire che la visione di queste pellicole (alcune con dei titoli oggi improponibili) è di estremo interesse per ciò che veicolano, non dimenticandoci mai dell'aspetto commerciale (in quegli anni tiravano, quindi se ne producevano a iosa, poco importa il messaggio). Pellicole violente, in alcuni casi grottesche, in altri semplici scopiazzature con una trama e dei dialoghi a dir poco improbabili. Generici richiami all'ordine costituito, impotenza della legge nei confronti dell'ondata di violenza, pistolotti pseudo-moraleggianti... tutto quello che volete metterci di negativo mettetecelo, ma vanno comunque riscoperti, non semplicemente "bocciati" come farebbe, e ha fatto, una critica frettolosa, forse poco attenta, fors'anche un po' "snob". Anche all'interno di questo "genere" c'è la serie A, la serie B, la serie C, se non peggio. Certe pellicole sono inguardabili, altre riescono ad intrattenere lo spettatore grazie a magnifici inseguimenti tra le mitiche "Alfa Romeo Giulia" della polizia e la pletora di banditi, killers e quant'altro impersonati da, due nomi fra tanti, Tomas Milian e Ray Lovelock. Altre ancora ci offrono ambientazioni grigie, esteriormente ed interiormente grigie, dialoghi e tratti umani, se non psicologici, da recuperare come una delle tante espressioni artistiche di un decennio (fine anni '60-primissimi '80) decisamente complesso, volendo usare un eufemismo. Mi permetto di consigliarvi due siti (già segnalati in questo mio Blog nella sezione "Gli anni '70, siti consigliati") che considero di grande valore: http://www.caniarrabbiati.it/ e http://www.pollanetsquad.it/
Sono siti da sfogliare come un ottimo dizionario, un po' alla volta.
"Cani arrabbiati" ha una stupenda sezione, "recensioni", ben commentata!
"Pollanetsquad" è focalizzato sul "poliziottesco": interessante l'aver riportato, non sempre ahimè, ma spesso, la critica cinematografica apparsa sui giornali dell'epoca all'uscita dei films. E' un buon esercizio per toccare con mano critiche che oggi potremmo ancora condividere oppure no.
Consiglio anche questi due riferimenti per quanto riguarda il "poliziottesco":

martedì 3 giugno 2008

Aldo Moro e il '68

Finalmente uno scritto di Aldo Moro (tratto da "68 - vent'anni dopo, una storia aperta", "L'Espresso" del 25/01/88) e non soltanto sul "caso Moro"! Bisogna assolutamente riportare alla LUCE l'uomo e il politico, scandalosamente dimenticato in questo sessantesimo della Repubblica. "Quando si stancheranno di uccidere Aldo Moro?", domanda a noi tutti, in special modo alle istituzioni, la figlia Maria Fida.